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domenica, marzo 14, 2010

il deserto dei tartari

Giornate invernali, lunghe, passate in laboratorio, a lanciare esperimenti. Passate con l'ossessione di scadenze in testa, tenendosi compagnia con calcoli ridicoli su parole come scadenza,consegna,fuoricorso.

Poco prima delle otto, le gambe da pendolare scendevano giù dal letto da sole. Chiudevano la porta e affrontavano la pioggerellina senza farci caso. Ma salito sul treno, tiravo fuori la mia vera tortura, rilegata con eleganza da una Einaudi degli anni settanta non ancora divorata dai tentacoli del biscione.

Il deserto dei tartari.

Buzzati ti prende, con leggerezza, e ti scava un foro, piccolo e sanguinante nello stomaco. Dopo poche pagine immagini come andrà a finire, perchè un po' hai imparato a conoscerlo. E questa certezza ti allarga questo dannato forellino, ti apre un varco nel quale vanno a finire tutte le tue paure, le tue tristezze, il terrore delle scelte sbagliate, il dannato tempo che passa, le occasioni che non ritornano.

Quando ti ritrovi con una voragine dolorante non puoi più fermarti, sai che non allevierebbe un bel niente abbandonare a metà. E lo finisci, finisci tenendoti una mano sulla ferita, barcollando vai avanti, superi il traguardo, e non c'è nessuno a suonare trombe del vincitore, ci sei solo tu, con gli occhi spalancati a ricordarti che è questa la tua vita, proprio questa qua.

Allora, respiri, premi il pulsante verde, e scendi dal treno.

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