Mentre John Hiatt snocciola un live da urlo nelle mie orecchie, finalmente vedo Termini.
Leggo 3 minuti alla partenza del mio treno, ma ormai sono dentro. Le caviglie doloranti mi ricordano che il periodo delle corse al lago è finito da un bel pezzo.
In testa ho ancora la lezione del prof.Sterbini, un capellone che va in giro con la fascetta della pace sul porta-notebook, e che ogni settimana porta avanti una nuova battaglia dalla sua pagina web, da buon paladino dell’Open Source.
Riaccendo il cervello e sono davanti al tabellone: il mio treno è al fottuto binario 26. A 500 metri da qui, dunque.
Splendido.
Posso solo correre come un imbecille, nel sottopassaggio. Il rullo trasportatore è dannatamente fermo.
Arrivo, spossato, e al 26 trovo il fantastico Minuetto. La genialità di Trenitalia spinge ad impiegare un treno con 3 vagoni per duecento persone.
Premo il fatidico pulsante verde. Ho tempo di respirare un paio di volte, prima che il treno parta. Credo di avere un’espressione molto idiota. Poi riprendo fiato, tolgo Hiatt dalle cuffie, riprendo ancora fiato, reprimo la mia voglia di urlare contro il mondo, e mi metto a camminare verso il centro di Termini – mentre Lello Arena mi ricorda quanto è facile vincere al Lotto, e che Barilla sceglie gli ingredienti più genuini per i suoi prodotti.
Questo posto è diventato un inferno, uno schermo ogni 3-4 metri ti aggredisce con 4/5 spot in rotazione, sembra di stare in un girone infernale, condannato ad ascoltare sempre gli stessi riff gli stessi jingle e le stesse cazzate per l’eternità…
Sembra di essere finiti in uno di quei romanzi di Philip K. Dick, società del futuro dominate da proiezioni olografiche per la pubblicità.
Compro dei chewing-gum per scaricare la rabbia e una fantastica ricaricard per ristabilire contatti con il Resto Del Mondo. Trovo il mio treno, fermo e dormiente come un leone a riposo, con mezz’ora d’anticipo. Salgo, mi butto sul primo sedile che trovo, ed entro in un’intima conversazione con la signorina del 4916. La adoro, dice sì a tutto, chiede solo di premere un tastino. Chi avrebbe cuore di deluderla?
Non appena sto per confidare il mio codice segreto alla signorina, si siede vicino a me uno di quei tipi pieni di calzini in mano e nella borsa, che si avvicinano e ti chiedono con accento napoletano “Che te la posso chiedere una cortesia?” oppure “Che te la posso fare una domanda?”, in maniera più subdola.
Però questo tipo qui è una persona più acuta.
- Stai facendo la ricarica?
- Già.
- Che te la posso chiedere una cortesia?
- E chiedimela.
- No no però non me fa sta faccia eh!
- No, no scusami. È stata una giornata pesante.
- Eh, figurate a’ mia.
- Immagino.
Nel frattempo chiudo la conversazione con la mia compagna d’intimità. Se la faccio aspettare troppo diventa irascibile, e non voglio rovinare un rapporto che dura da anni. Intanto il tipo mi chiede se voglio qualcosa e rispondo cordialmente che
- No , ti ringrazio, non ne ho bisogno.
- Vabè ma allora damme n’euro qualcosa…
- No guarda…
- Senti ma che a te cagna a’ vita se m’offri ncaffé?
- No, appunto..
Mi strappa di mano la ricaricard.
- Hai fatto ‘na ricarica da cinque euro.
(in questo momento la sua voce inizia ad essere meno convinta, sperava di trovare un importo dai 30 ai 60…ma 5 euro…si sta rendendo conto che sono un morto di fame come lui)
- Già.
- E che te cagna se me dai n’euro?
- È che non ti voglio fare l’elemosina.
- Eh, ma io te la sto chiedendo.
- E appunto, io NON te la voglio fare.
Si alza, grazie a Dio, allontanandosi con un
- Beh guarda sì proprio n’omm…
Non sono riuscito a cogliere il resto, era in fading. Ho fatto la mia ricarica da cinque euro. Mi affaccio dal finestrino, vedo il tipo che passa un paio di persone e a una riesce a scroccare una sigaretta, che si fa accendere subito.
Ho veramente bisogno di parlare con qualcuno. La chiamo.
- Ciao..
- Ciao.
- Come stai?
- Bene.
- Eh…beh…dove sei?
- Casa.
- Ah, casa, ok. Mhh.. che fai?
- Vedo un film.
- Ah..che film…?
- La sposa cadavere. Ti richiamo dopo?
- Ah certo certo certo. Ok. A dopo, scusam..
- (Cluck)
Splendido.
Devo smetterla di rileggere City.
Credo che in quel preciso istante il sorriso di Federica, sincero, cristallino, incondizionato, all’improvviso, mi abbia salvato la vita. Le ho scaricato tutto addosso senza pietà, come al mio solito. Poi ho cominciato a scrivere.
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